Testo e fotografie di Enrico Rossi
Un autore a me molto caro, l’americano Ted Leeson, ha scritto che il profilo esagonale di una canna in bambù evoca la naturale perfezione dei sei angoli di un fiocco di neve o delle celle di un alveare. Equivale a dire che l’opera di un artigiano, quando raggiunge livelli di eccellenza, non teme il confronto con le meraviglie del creato. Nella storia della pesca a mosca, nessun attrezzo ha mai stimolato paragoni così arditi, né suscitato un’ammirazione tanto profonda e incondizionata. Del resto, anche chi non ha mai posseduto o maneggiato una canna in bambù non può fare a meno di riconoscerne la straordinaria eleganza, che non si esaurisce sul piano meramente estetico. Sappiamo bene, infatti, che il termine eleganza deriva dal latino eligere, che vuol dire scegliere. Chi pesca col bambù, quindi, si distingue per la capacità di scegliere strumenti dotati di un fascino e di un valore che prescinde dal prezzo. Peraltro, oggi prezzo e valore sono nozioni quasi antitetiche: un prodotto industriale, sia esso un capo d’abbigliamento firmato, uno smartphone o una canna in grafite, costa spesso più di un abito di sartoria, di un mobile d’epoca o di un’opera d’arte. Sgombrato il campo da ogni preconcetto di tipo economico, resta da chiarire un punto fondamentale: vale davvero la pena di voltare le spalle alle moderne tecnologie a vantaggio di arnesi talmente antiquati? E’ una domanda cui ancor oggi non so dare risposta. So solo che per chi ama le cose belle, i materiali naturali e gli oggetti fatti a mano, sottovalutare il fascino del bambù può rivelarsi un errore macroscopico. Lo dico per esperienza diretta, non per sentito dire. Nel 1997, quando acquistai la mia prima canna in bambù, non avrei mai immaginato di aver imboccato una via senza uscita. Pensavo che l’avrei sfoderata tre o quattro volte l’anno, nelle occasioni speciali. E mi sbagliavo di grosso, perché da quel giorno non ho più impugnato un attrezzo in grafite.
Il bambù, questo sconosciuto
Anche se da qualche anno stiamo assistendo a un suo inatteso revival, per la maggior parte dei pescatori a mosca il bambù resta un prodotto di nicchia, se non un perfetto sconosciuto. Se ne sente parlare spesso, è vero, ma quasi sempre a sproposito. C’è chi lo considera uno status symbol, chi ne fa sfoggio in ossequio ai dettami dello stile vintage e chi, nauseato dall’esibizionismo dei soliti snob, non vede l’ora che il “legno” passi definitivamente di moda. Andando avanti di questo passo, si corre il rischio di scambiare per una tendenza passeggera una delle tradizioni più nobili della nostra disciplina. E’ quindi giunto il momento di mettere nero su bianco alcuni concetti, per porre in condizione chi si avvicina al bambù di operare una scelta serena e consapevole. Sotto il profilo delle prestazioni, un attrezzo in bambù costruito a regola d’arte non è migliore né peggiore di uno in grafite. Che possa piacere più l’uno dell’altro non è questione di materiali, ma di gusti personali. Tutto dipende dal modo in cui ciascuno interpreta il lancio e l’azione di pesca. Se amate le canne rapide e leggere, le pose a lunga gittata, o vi dilettate con tecniche quali la Czech nymph o lo streamer pesante, direi che il bambù non è pane per i vostri denti. Se invece apprezzate un’azione più armoniosa ed equilibrata, e da una canna pretendete la massima sensibilità ed accuratezza alle corte e medie distanze (per intenderci: quelle non superiori ai 15-16 metri, entro cui si registra la maggior parte delle catture) potreste trovare proprio nel bambù quel che da tempo stavate cercando. Non vorrei, tuttavia, che queste mie indicazioni apparissero troppo radicali o schematiche. Oggigiorno, infatti, sugli scaffali dei negozi di pesca non mancano le grafiti dolci e precise, capaci di depositare una secca del # 20 a pochi centimetri dal muso di un temolo. Né, d’altro canto, mancano gli artigiani in grado di plasmare “legni” potenti e robusti, capaci di proiettare da una sponda all’altra del fiume uno zonker piombato o una tube-fly da salmone.
La ricerca del rod-maker
Quando ci si appresta a compiere il grande passo, arriva il momento delle decisioni, dei dubbi e dei ripensamenti. Fatevi coraggio. Scegliere il bambù è come imboccare una strada che all’inizio sembra ripida ed irta di ostacoli, ma dopo i primi, faticosi tornanti offre un panorama sterminato e bellissimo, schiudendo nuovi orizzonti alla nostra passione per il fly fishing. Alcuni si scoraggiano alle prime avversità, altri gettano la spugna a pochi metri dalla cima, ma chi può contare sull’esperienza e i consigli di un bravo rod-maker giunge sempre al traguardo. Il punto è riuscire a individuarne uno realmente valido, cui potersi affidare a occhi chiusi, certi che non deluderà le attese e saprà ricompensare la nostra fiducia, e il relativo esborso economico, con un attrezzo di qualità sopraffina. La soluzione migliore, per evitare salti nel buio, consiste nel tenersi alla larga dai costruttori alle prime armi e rivolgersi ad artigiani già conosciuti e affermati. Gente seria e capace, con una solida reputazione alle spalle e disposta a garantire i clienti da qualsiasi difetto, soddisfatti o rimborsati. L’ideale è recarsi di persona presso il laboratorio del rod-maker, in modo da verificarne i metodi di lavoro, esaminare qualche attrezzo finito e fare quattro lanci sul prato per schiarirsi ulteriormente le idee. L’alternativa, quanto mai aleatoria, oggi è rappresentata dal web, dove oltre a tanti onesti artigiani c’è il rischio d’imbattersi in dilettanti allo sbaraglio, apprendisti stregoni dalle assurde pretese economiche e persino truffatori matricolati, che spacciano per farina del proprio sacco grezzi di provenienza orientale assemblati alla bell’e meglio in qualche scantinato. Se avrete la pazienza (e la fortuna) di trovare la persona giusta, potrete instaurare con lui un rapporto proficuo e duraturo. Nel corso degli anni, il vostro rod-maker di fiducia diventerà un punto di riferimento costante, sempre pronto a dispensare consigli o a eseguire piccoli interventi di manutenzione.
La scelta del taper
Lo step successivo, una volta stabilito il contatto con l’artigiano, sarà individuare l’attrezzo che fa al caso vostro. Salvo che non abbiate già un’idea molto precisa di quanto vi occorre, in questa fase è meglio non prendere decisioni avventate e affidarsi al rod-maker per stabilire assieme a lui la lunghezza, la potenza e l’azione della canna. I costruttori più esperti, avendo già avuto a che fare con molti clienti, sanno interpretare al meglio i desideri di chi, abituato alla grafite, si avvicina per la prima volta al bambù. Oltre a rendere meno traumatico il momento della transizione, seguendo i loro consigli si riduce al minimo anche il rischio di un eventuale “rigetto”. La scelta del taper deve riflettere le esigenze concrete di ciascun appassionato: quali fiumi frequenta, quali tecniche pratica e quali prede ambisce insidiare. Se pesca principalmente a secca in torrenti stretti e infrascati, l’attrezzo giusto per lui sarà una canna corta e reattiva, in grado di caricarsi a dovere anche con pochi metri di coda fuori dal cimino. Se invece ama i grandi corsi d’acqua e le catture oversize, dovrà orientarsi su qualcosa di più robusto e polivalente. In termini di lunghezza e potenza, il bambù dà il suo meglio in un range compreso tra i 7’ e gli 8’6’’, per code dal #4 alla #6. Nell’ambito di questi parametri, oltre i quali s’inizia a parlare di attrezzi estremamente particolari e specialistici, qualsiasi esperto rod-maker è in grado di realizzare ottimi attrezzi ispirandosi ai taper progettati dai grandi costruttori del passato, cui potrà apportare qualche ritocco per andare maggiormente incontro ai desideri e alle necessità del cliente. Restando tra i classici, c’è solo l’imbarazzo della scelta: si può privilegiare la potenza di una Gillum o la rapidità di una Dickerson, l’azione parabolica di una canna di Young o quella fluida e progressiva delle creazioni di Garrison, Leonard e Payne.
Il processo di costruzione
Tra i molti aspetti che rendono unica l’esperienza di chi si rivolge a un artigiano per commissionargli un attrezzo su misura, c’è il privilegio di poter assistere di persona alla sua realizzazione. Quello di osservare un rod-maker all’opera è un piacere che ogni appassionato di bambù dovrebbe concedersi almeno una volta nella vita. Tutti i passaggi del lungo e complesso disciplinare di costruzione vengono eseguiti con il massimo scrupolo, pena il fallimento dell’intero progetto. Dalla spaccatura del culmo alla spianatura dei nodi, dalla tempra a caldo alla piallatura dei listelli, fino alla legatura delle sezioni incollate, ogni singola operazione compiuta dalle mani del rod-maker è un soffio di vita che contribuisce a plasmare un grezzo pronto a trasformarsi, una volta “vestito”, in un attrezzo dotato di una personalità tutta sua, destinata a fondersi in un binomio inscindibile con quella del suo proprietario. Se il taper è l’anima della canna, il grezzo è il corpo in cui dovrà incarnarsi, riflettendone fedelmente l’azione. Ma il compito del rod-maker, una volta ultimata l’opera di “falegnameria”, è ben lungi dall’esser concluso. Anche la “vestizione” del grezzo, cioè l’assemblaggio della componentistica sulle nude sezioni in bambù, richiede una certosina attenzione: le ghiere d’innesto in nickel-silver vanno tarate alla perfezione, gli anelli passafilo allineati con cura, poi vanno montati l’impugnatura in sughero e il porta-mulinello. Prima di procedere alla verniciatura finale, la firma del maestro suggella la nascita di un capolavoro.
Caratteristiche e rifiniture
Quando si ordina una fly-rod in bambù, come quando si acquista una fuoriserie, non solo la marca e il modello, ma anche gli optional influiscono sul valore e il prestigio del veicolo. Molto spesso, infatti, sono proprio i dettagli a rivelare la maestria di chi ha realizzato la canna e il buon gusto del committente. L’importante è che l’estetica non prevalga mai sulla funzionalità dell’attrezzo, trasformando una canna da pesca, nata per vivere all’aria aperta e a contatto con l’acqua, in un oggetto da collezione. Parlando di caratteristiche e rifiniture, è quindi opportuno distinguere tra quelle voluttuarie e quelle realmente utili, destinate a incidere sulle prestazioni e sulla durata dell’attrezzo. Se c’è una cosa di cui non farei mai a meno è il doppio cimino, che è la miglior garanzia per qualsiasi incidente. Fatti i debiti scongiuri, direi che non si tratta di un optional, ma di un accessorio indispensabile, come gli air-bag o la ruota di scorta di un’autovettura. Un altro valido complemento alle dotazioni di base sono i ferrule plugs, cioè i piccoli tappi posti a protezione delle ghiere metalliche, che oltre a mantenere in forma gli innesti impediscono l’infiltrazione di polvere e sabbia nelle cavità di giunzione. Per quanto attiene all’estetica, non ci sono limiti alla fantasia del cliente o alla creatività dell’artigiano, ma è bene che entrambi stiano attenti a non calcare troppo la mano, sconfinando nel kitsch. L’innata eleganza del bambù merita attenzione e rispetto: va accentuata in maniera sobria e raffinata, non svilita con l’aggiunta di dettagli appariscenti e pacchiani. Legature dai colori troppo appariscenti, incisioni posticce ed altri orpelli di pessimo gusto andrebbero quindi messi severamente al bando, perché finiscono solo per compromettere il fascino dell’attrezzo, invece di migliorarne l’aspetto.
Il mercato del vintage
Nel loro (apparente) anacronismo, questi splendidi strumenti da pesca paiono voler sfidare le leggi del tempo. Col passare degli anni, infatti, una canna in bambù non si deteriora, ma evolve e matura come un whisky d’annata o una giacca di tweed. Una valida alternativa all’acquisto di un attrezzo nuovo consiste, quindi, nel reperirne uno di seconda mano. Sempre a patto che sia stato usato con amore e rispetto dal suo precedente proprietario. L’importante è aver ben chiara una cosa: i tempi in cui era possibile scovare autentici capolavori del rod-making a costi irrisori sono ormai tramontati. Oggi il mercato del vintage è dominato da internet, e mai come in questo caso non bisogna lasciarsi irretire dalle sirene del web. Canne americane, inglesi e francesi, più o meno antiche o di pregio, inondano i siti di e-commerce con prezzi che variano da poche centinaia a qualche migliaio di euro. Per distinguere il grano dal loglio non basta sbirciare le foto pubblicate in rete dal venditore. Prima di procedere all’acquisto sarebbe meglio ispezionare l’attrezzo di persona o, quantomeno, ottenere la garanzia di poterlo restituire a stretto giro di posta. Se la canna mostra qualche segno di usura, basterà affidarla alle cure del nostro rod-maker di fiducia per vederla tornare al suo originario splendore. Se invece presenta evidenti problemi strutturali, o magagne occultate alla buona, sarà meglio rispedirla al mittente senza pensarci due volte. Un caso di scuola è quello dei cosiddetti clear wraps, le legature trasparenti sotto le quali si nascondono listelli danneggiati e pronti a tradirci alla prima occasione.
A pesca col bambù
Per pescare col bambù non occorre essere in possesso di una tecnica di lancio particolarmente evoluta o raffinata. Basta ricordarsi che non stiamo impugnando un attrezzo in grafite e adeguarci alla caratteristica azione del “legno”. L’importante è non forzare mai la canna, lasciando che sia lei a dettarci il ritmo, e non viceversa. Farci l’abitudine non è questione di un attimo, ma con un po’ di perseveranza, una volta trovato il giusto timing, inizierete a percepire l’attrezzo come un’estensione del braccio. Senza alcuno sforzo, vedrete la coda librarsi alta e docile durante il volteggio, e quando verrà il momento di finalizzare il lancio sarete piacevolmente sorpresi dalla sensibilità e precisione con cui l’artificiale andrà ad adagiarsi sull’acqua. I migliori attrezzi in bambù si denotano per un’azione dolce e pastosa, che in fase di spinta e trazione ci consente di non perdere mai il contatto con la coda e di modellare a nostro piacimento la posa. Ma è durante il recupero che emergono le qualità nascoste di questo straordinario materiale: l’estrema elasticità del vettino, unita alla capacità del pedone di assorbire in profondità anche le sollecitazioni più brusche, protegge i finali sottili e doma le sfuriate dei pesci di taglia con insospettabile autorevolezza. Tradizione vuole che col bambù si usino code double taper, ma non si tratta di un dogma assoluto, perché negli ultimi anni sono entrate in commercio code weight forward dal profilo lungo e rastremato, che non hanno nulla da invidiare alle “vecchie” DT in termini di malleabilità e delicatezza. Quanto alle code in seta, che taluni puristi considerano il connubio perfetto per il bambù, va tenuto presente che prima di esprimersi al meglio richiedono un lungo rodaggio, oltre a dover essere asciugate e ingrassate con cura dopo ogni uscita sul fiume.
Estratto dell'articolo pubblicato sul n. 77 di S&M
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