marjan fratnik

Di Enrico Rossi      

Il patriarca dei pescatori sloveni si è spento il 27 agosto 2012 a Milano alla veneranda età di novantatre anni. Era una delle ultime leggende viventi del fly fishing, ma l’annuncio della sua dipartita non ha destato molta attenzione. Se n’è andato in silenzio, come in silenzio se n’erano andati gli altri personaggi che hanno fatto la storia della nostra disciplina. Ormai di lui si ricordavano in pochi, e per i più giovani era un perfetto sconosciuto. Anche i siti internet e i forum di pesca si sono limitati allo stretto indispensabile, pubblicando lo scarno necrologio diramato all’indomani del decesso dalla “Ribiška Družina Tolmin”, il club di cui Marjan Fratnik era il socio più anziano ed illustre. Parafrasando le parole pronunciate da Talleyrand in occasione della morte di Napoleone, si potrebbe dire che la sua scomparsa non è stata un avvenimento, ma solo una notizia. Una notizia tra tante. Eppure ce ne sarebbero di cose da raccontare. Volete un esempio? Provate ad aprire le vostre fly-box. Sono sicuro che contengono decine di emergenti in cul de canard; e sarei disposto a scommettere che sono gli artificiali a cui vi affidate nelle situazioni difficili, quando gli altri dressing non riescono a superare l’esame dei pesci più selettivi. 

Marjan Fratnik costruiva la F-Fly in diverse taglie e colori
Marjan Fratnik costruiva la F-Fly in diverse taglie e colori

Ebbene, se non fosse per Fratnik, oggi quelle mosche non sarebbero ancora state inventate. Fu proprio lui, verso la fine degli anni Settanta, a rendersi conto che le piume prelevate dalle “parti basse” degli anatidi - il cui uso, fino ad allora, era perlopiù circoscritto alle valli della Franche-Comté e alla regione elvetica del Jura - potevano essere impiegate per realizzare artificiali la cui semplicità costruttiva era direttamente proporzionale alla loro straordinaria efficacia in pesca. Da quest’intuizione nacque la “Fratnikova Puhovka”, poi ribattezzata col fortunato appellativo anglosassone di “F-Fly” dopo che la sua fama si era estesa a tutta l’Europa continentale, al Regno Unito e persino al di là dell’Atlantico.

Come tutti i dressing ideati da Fratnik, la “F-Fly” è un autentico capolavoro di spartano minimalismo. Per completarla servono solo due materiali: qualche giro di filo di montaggio per il corpo e da una a tre piume di cul del canard per le ali, a seconda alle dimensioni dell’artificiale. Marjan realizzava la mosca che l’ha reso famoso in misure comprese dal # 12 al # 20, avendo l’accortezza di variarne la taglia e il colore in base al pesce insidiato e agli insetti presenti sul fiume. Nelle tonalità del verde, del beige e del grigio la “F-Fly” si presta a imitare un’infinità di specie di effimere allo stadio di subimago e tutte le più comuni tipologie di tricotteri; mentre in giallo può essere scambiata per le stonefly del genere Isoperla o per quelle che appartengono alla famiglia delle Chloroperlidae; e tinta di rosa si trasforma in un micidiale dressing da temolo. 

 Negli ultimi anni Marjan costruiva anche artificiali in foam
Negli ultimi anni Marjan costruiva anche artificiali in foam

Tra gli altri cavalli di battaglia del vecchio Marjan non potrei fare a meno di citare la “F-Sedge”, che imita i tricotteri allo stadio adulto; la “Netopir”, un inaffondabile in stile palmer sul gambo dell’amo; e il micidiale “F-Zonker”, un grande streamer da marmorata in strip di coniglio.

 

 

Marjan Fratnik non è stato solo un geniale e innovativo fly-tyer, ma anche l’ambasciatore nel mondo dei fiumi sloveni. Ai tempi della Jugoslavia di Tito non erano molti gli appassionati disposti ad attraversare la “cortina di ferro” per andare a pesca sul Soča e sull’Idrijca, sull’Unica o sulla Sava Bohinjka. Fu grazie a lui che quei magnifici corsi d’acqua riuscirono a conquistare le prime pagine delle riviste francesi, tedesche e britanniche, fino a trasformarsi in itinerari tra i più blasonati del Vecchio Continente, frequentati ogni anno da migliaia di pescatori stranieri, tra cui numerosi nostri connazionali. Fratnik era legato ai suoi fiumi da un amore viscerale e profondo: il sentimento che può provare solo chi è venuto alla luce sentendo il rumore dell’acqua che scende veloce dai monti. Nacque a Most na Soči il 14 aprile del 1919, quando le Alpi Giulie e il fondovalle isontino facevano ancora parte dell’Impero Asburgico. Di lì a un anno, con l’entrata in vigore dei trattati di Versailles e Rapallo, la Slovenia occidentale fu annessa al Regno d’Italia, e il piccolo Marjan diventò suddito dei Savoia. Ma questo non fu che l’inizio, perché nel 1943, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre, le truppe naziste invasero la sua regione natale, inglobandola nell’Adriatisches Küstenland del Terzo Reich; quindi anche lui, giocoforza, dovette acquisire la nazionalità tedesca, per poi ritrovarsi cittadino della Jugoslavia socialista al termine del conflitto. E non era ancora detta l’ultima parola, perché nel giugno del 1991, quando Lubiana dichiarò la propria indipendenza da Belgrado, Fratnik cambiò passaporto per l’ennesima volta, ottenendo finalmente la cittadinanza slovena, di cui andava oltremodo orgoglioso, al punto da meritarsi la nomina a primo console onorario della giovane repubblica post-jugoslava.

 Marjan aveva iniziato a pescare a mosca negli anni Trenta sugli splendidi torrenti della Baška Grapa
Marjan aveva iniziato a pescare a mosca negli anni Trenta sugli splendidi torrenti della Baška Grapa

Fin dall’infanzia Marjan visse in stretta simbiosi con i corsi d’acqua che avrebbe continuato ad amare e a difendere per il resto dei suoi giorni. Iniziò a frequentarli sulle orme del padre, che nel periodo a cavallo tra le due guerre era il titolare dei diritti di pesca sugli splendidi torrenti della Baška Grapa. Il suo battesimo alieutico si compì nel giugno del 1935, quando a sedici anni d’età catturò la sua prima trota a mosca presso la confluenza dello Kneža nel Bača. Di lì a poco, per proseguire gli studi, Marjan fu costretto a emigrare prima a Bolzano e poi a Vienna. Sul finire degli anni Trenta espatriò in Spagna, e anche nel dopoguerra vagò a lungo per l’Europa prima di stabilirsi definitivamente a Milano, dove mise su casa e famiglia. Parlava fluentemente otto lingue, e viaggiando spesso all’estero per motivi di lavoro non perse mai l’occasione di misurarsi con i fiumi dei Paesi che aveva la fortuna di visitare; ma tutte le estati, cascasse il mondo, tornava a Most na Soči per rinnovare l’appuntamento con i salmonidi e i timallidi della sua adorata Slovenia. Dicono che avesse un carattere un po’ spigoloso, ma dietro quell’apparenza scorbutica si celava un uomo schietto e sincero, dotato di una profonda cultura umanistica e di una non comune sensibilità ambientale. Il primo ricordo che ho di lui risale all’inizio degli anni Novanta, quando lo conobbi in un pomeriggio d’agosto sulle sponde assolate del Soča. All’epoca ero poco più che un ventenne alle prime armi, e mi accostai con un certo imbarazzo a quel “mostro sacro”. Di Fratnik mi colpì lo stile di pesca, rigoroso ed essenziale come i suoi artificiali. Non era un esteta del lancio, né amava ostentare le proprie catture: una volta individuato il bersaglio posava la mosca senza troppi volteggi, e non protraeva mai il combattimento oltre lo stretto necessario. Già allora, infatti, era un convinto fautore del catch & release e rimetteva sempre in acqua le prede, invitando i suoi compagni di pesca a fare altrettanto

Un'insolita versione patriottica della F-Fly realizzata da Fratnik nel bianco rosso e blu del tricolore sloveno
Un'insolita versione patriottica della F-Fly realizzata da Fratnik nel bianco rosso e blu del tricolore sloveno

Marjan Fratnik è stato un autentico campione di longevità alieutica. Ha sfidato le impetuose correnti dei fiumi sloveni fino all’età di ottantanove anni, ma anche dopo aver appeso la canna al chiodo, quando la nostalgia si faceva struggente, chiedeva al nostro comune amico Lucjan Rejec, presidente della “Ribiška Družina Tolmin”, di accompagnarlo in riva al Soča per rinverdire i ricordi di una vita di pesca. Negli ultimi tempi trascorreva lunghe ore al morsetto, ed oltre a realizzare i suoi tradizionali dressing in cul de canard - che poi distribuiva con generosità tra i conoscenti e gli ammiratori sparsi in ogni angolo del mondo - si divertiva a sperimentare nuovi metodi di costruzione che prevedevano l’impiego dei moderni materiali sintetici. Solo all’inizio dell’estate scorsa, sentendo ormai avvicinarsi la fine, avvertì il bisogno di cedere le consegne al suo erede designato. Sono stato anch’io testimone di questo toccante momento. Erano i primi di giugno, e assieme a Lucjan Rejec mi trovavo ospite a pranzo a casa di Branko Gašparin, che fin dagli anni Settanta è stato il discepolo prediletto del vecchio Fratnik. Ci eravamo appena seduti a tavola, quando squillò il telefono. Branko si alzò per rispondere, ma dal suo tono di voce capimmo che non si trattava di una conversazione piacevole. Dall’altro capo del filo, Marjan gli stava annunciando il suo addio al morsetto: “Nei prossimi giorni metto l’attrezzatura in uno scatolone e te la spedisco. Mi sento troppo stanco per continuare, adesso tocca a te andare avanti”. Quando posò la cornetta Branko aveva gli occhi lucidi. Nel ricevere l’investitura del suo grande Maestro, aveva compreso che non l’avrebbe mai più rivisto.


Estratto dell'articolo pubblicato sul n. 68 di S&M


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