a pesca con le small flies

parte prima - la pesca

Di Massimiliano Mattioli (*) vedi a fondo pagina

Ultimi giorni del mese di agosto, sorgenti della Kupa. Ci siamo spostati all’interno del parco nazionale di Risnjak perché i livelli del fiume sono troppo bassi, nella zona di Brod Na Kupi. Quassù il fiume ha un andamento più torrentizio e la poca acqua che proviene dalle sorgenti è sufficiente a mantenere i temoli in attività. Livelli bassi, quindi, e acqua limpidissima. Nella piana che ho deciso di pescare i pesci bollano con costanza e calma assoluta. Davanti a me si stende, letteralmente, un tappeto di temoli (secondo gli amici che ci hanno accompagnato, in un tale regime di acque basse i temoli risalgono verso la sorgente per trovare acque più fredde e, in effetti, più a valle abbiamo avvistato solo cavedani) che sale lentamente sugli insetti in superficie e li osserva a lungo prima di inghiottirli. Meraviglioso! Solo che…non vedo gli insetti. Dieci minuti di ricerche e di prove su vari modelli ed ecco la prima salita decisa sulla mia mosca: una spent con il corpo in quill su amo del #22. Per il resto della mattinata riuscirò a mantenere una buona media di catture, nonostante l’acqua quasi ferma e i pesci che diventano progressivamente sempre più diffidenti. Per avere ragione degli ultimi temoli dovrò allungare il tip dello 0,08 fino a tre metri, perché i maledetti seguono la mosca come dei segugi prima di decidersi a prenderla e il minimo dragaggio li fa fuggire.

Con il termine mosche piccole (Small Fly) si intendono normalmente quelle costruite su ami più piccoli del #18. La pesca con questi artificiali ha avuto una grande diffusione negli ultimi anni. Non solo, come ritengono alcuni, a causa del peggioramento della qualità delle acque, che pure esiste ed ha portato ad una massiccia diffusione di alcuni ordini di insetti acquatici, come i chironomi, a scapito di altri (plecotteri e diverse specie di effimere, principalmente).

 

E’ sufficiente leggere i testi fondamentali di Vince Marinaro, o l’articolo che Alberto Calzolari gli ha dedicato su questo numero, per rendersi conto che i pescatori di tutto il mondo avvertono da sempre l’esigenza di mosche costruite su ami molto piccoli. Ciò che fa la differenza, oggi, è la qualità dei materiali disponibili e la tecnologia, che ci permette di avere ami efficienti fino a misure microscopiche (#32) e monofili sottilissimi e con un alto carico di rottura. Proprio di questi aspetti ci occuperemo nelle prossime pagine, con l’avvertenza, per voi lettori, che l’analisi riguarderà esclusivamente le mosche secche ed emergenti.

La pesca con le small fly

La pesca con artificiali molto piccoli non è sostanzialmente diversa da qualsiasi tecnica di pesca a galla, ma richiede l'uso di alcuni accorgimenti specifici e di attrezzature ben calibrate. La canna, in primo luogo, dovrà avere un’azione molto progressiva. Una canna morbida, insomma, in grado di sopperire con la sua flessibilità alla fragilità intrinseca dei terminali che dovremo usare.

Dovrà portare una coda leggera, preferibilmente, perché un attrezzo progressivo per coda #6 non sarà mai delicato, in ferrata, come una canna progressiva per coda #3. Per quanto riguarda il profilo della coda, così come la lunghezza della canna, non ci sono vincoli se non quelli, soliti, imposti dalla tipologia del fiume che stiamo pescando.

Il finale rappresenta il vero fulcro attorno al quale ruota tutto il nostro mondo di pescatori con le small fly. Che sia conico o a nodi non ha, in realtà, molta importanza. Il mio consiglio è di usare quello con cui vi trovate più a vostro agio, con l’unica accortezza di allungare il terminale oltre il lmite della distensione. Io uso un normale finale conico di 9 piedi 6x (0,12), lo stesso di cui mi servo normalmente per la pesca a secca, a cui aggiungo almeno un metro e mezzo di tippet 7x (0,10) o 8x (0,08). In situazioni particolarmente difficili, come quella citata all’inizio, utilizzo un conico da 12 piedi, al quale unisco un terminale di almeno due metri. L’impiego di terminali così sottili è assolutamente irrinunciabile quando si pesca con mosche del #22, del #24 o del #26. Se una punta del 6x è ancora una soluzione praticabile quando si usano mosche sul #18, legare una emergente costruita su amo del #24 allo stesso terminale fa diminuire le possibilità di cattura di oltre il 50%, pescando su pesci diffidenti. 

La mosca sarebbe completamente in balia del filo anziché della corrente e la sua discesa sarebbe assolutamente innaturale. Il diametro che meglio equilibra una mosca così piccola è l’8x, c’è poco da fare. D’altronde, come dicevo prima, i monofili oggi in commercio hanno tenute straordinarie, impensabili solo pochi anni fa, ed è assolutamente possibile portare “a guadino” un pesce di dimensioni più che rispettabili con un 7x o un 8x. Basta avere un’attrezzatura adeguata, fare bene i nodi e mantenere la calma in ferrata e dopo. A proposito di ferrata: con fili sottili è meglio farla sollevando semplicemente la canna per mettere in tensione la lenza, lasciando che sia l’amo a penetrare nel labbro invece che cercare di “piantarlo” in bocca al pesce. Ferrata e combattimento avranno come alleato fondamentale, in prima linea, il finale che, con la sua elasticità “amplificata”, per così dire, dalla lunghezza del monofilo, ci permetterà di controllare il pesce nelle sue prime reazioni. Pescando a secca trovo che l’uso del fluorocarbon sia assolutamente dannoso, ancora di più se associato ad una mosca piccola. A parte i problemi noti a tutti di tenuta al nodo (ai quali si può ovviare con un po’ di attenzione) e di affondamento (che per qualcuno è addirittura un pregio), quello che più mi preme fare osservare in questo contesto è che il fluorocarbon è molto più rigido del normale nylon.

Questa caratteristica, pescando con le small fly, è assolutamente deleteria. Anche i terminali in fluorocarbon di ultima generazione non mi soddisfano ancora completamente, sebbene sia disposto a riconoscere che sono molto più morbidi che in passato. Il fluorocarbon ha certamente una sua superiorità in altre tecniche di pesca, ma nella secca rappresenta un handicap.

 

Per il resto, l’azione di pesca si svolge in modo assolutamente normale, avendo l’accortezza di non fare distendere il finale completamente per evitare il più piccolo dragaggio. Anche i dragaggi intenzionali, la cosiddetta pattinata, venga compiuto da un microbo di tre millimetri è abbastanza innaturale. Sarebbe andrebbero evitati, perché molto difficili da controllare. Questo è un argomento di cui non si parla mai, ma la pattinata dell’artificiale deve essere commisurata, nella sua ampiezza, alla misura dell’artificiale. E’ perfettamente plausibile che una grossa sedge, diciamo su amo del #10, si sposti lateralmente di alcuni centimetri. Ma che lo stesso movimento come vedere un uomo che compie passi di otto metri. Il collegamento fra noi e la mosca è un sistema imperfetto, guidato dalla nostra mano. Quel colpetto che noi diamo alla mosca e che, dalla nostra postazione, giudichiamo impercettibile, è, agli occhi del pesce, uno spostamento di alcuni centimetri, nel migliore dei casi. Comunque troppo per una mosca su amo del #24. 

Evitiamo di movimentare la mosca, quindi, e posiamola semplicemente a monte della bollata, raggruppando il finale, possibilmente, a monte della mosca (se stiamo pescando a scendere) o a fianco della stessa, perché non passi sopra la testa del pesce prima dell’artificiale. Seguire la discesa della nostra imitazione è difficile, naturalmente, viste le dimensioni. Spesso dovremo essere in grado di indovinare la sua posizione e essere pronti a ferrare quando scorgiamo un movimento di superficie nella “zona calda”. Per questo ho scritto prima che è meglio utilizzare il finale con cui ci troviamo meglio e a cui siamo più abituati, limitandoci ad allungare il tip. Il nostro occhio è abituato ad andare a cercare la mosca ad una certa distanza da dove si posa l’estremità della coda (la parte più visibile, cioè, del nostro sistema di lenza). Quella distanza corrisponde alla lunghezza solita del nostro finale. Sarà sufficiente allungare un po’ di più lo sguardo (di poco, perché il terminale non si sarà disteso completamente) ed avremo sott’occhio il nostro hot spot. Se non la individuiamo subito, è meglio tenere la visuale ampia e aspettare un segnale dal pesce, piuttosto che perderci a scrutare la superficie centimetro per centimetro, perché rischieremmo di reagire alla bollata con troppo ritardo.

Un esercizio molto utile, a mio parere, quando si utilizzano finali di lunghezza inconsueta, consiste nel fare qualche minuto di prove in una zona di acqua calma lontano dal nostro futuro raggio d’azione, per abituarsi alla nuova distanza punta della coda-mosca. Spesso è sufficiente girarsi o lanciare lungo la riva (ad esempio a valle, se vogliamo pescare a monte) con poca lenza fuori, giusto per vedere dove cade l’artificiale.

Naturalmente, il modo migliore per seguire bene la nostra mosca è cercare di incorporare nel montaggio qualche elemento che ne accentui la visibilità. Con le small fly non è certo facile, e quasi mai risolutivo. Però qualcosa possiamo fare. Ne parleremo nel prossimo numero.

(fine prima parte - la seconda parte la trovi qui)

(*) Nota sull’autore

Massimiliano Mattioli, classe 1964, di professione editore. E’ anche autore, traduttore e, con lo pseudonimo di Fortebraccio, fotografo. Pesca a mosca fin da bambino, in ossequio ad una tradizione familiare.  A partire dagli anni ’90 ha allargato il suo orizzonte editoriale per includere il flyfishing fra i suoi obiettivi professionali. Sue sono le traduzioni in italiano di:

Emegenti di Swisher e Richards (1996); Nuove tecniche di costruzione di O. Edwards (1998); La precisione nel lancio di J. Wulff (1999);

Nel 2000 ha fondato la rivista “Sedge & Mayfly – il piacere della pesca a mosca” della quale ha assunto la direzione editoriale, continuando sempre a curare personalmente la pubblicazione di libri dedicati alla pesca a mosca, come:

Pescare a ninfa di G. Re; Microchenille & C di M. borselli; Il Black Bass di P. Pacchiarini; Il luccio di P. Pacchiarini; Manuale del moderno costruttore di mosche artificiali di Federighi- Nocentini; La ninfa di S. Soldarini; Fly Tying – il grande libro del costruttore di mosche artificiali di A. Quazzo

 



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Articolo pubblicato sul n. 50 di S&M