ninfa a filo

Testo e foto di Mauro Mazzo

mauro mazzo; pesca a filo; ninfa col filo; pesca a mosca; flyfishing
La sensibilità del sistema ci permetterà un netto miglioramento delle catture

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Prendendo atto e rispettando l’opinione del Direttore che non considera la “pesca con il filo” vera pesca a mosca, cercherò comunque di farlo ricredere, spiegando i motivi per cui ritengo che questa tecnica non sia sacrilega e ricordandogli che anche lui ha sempre sostenuto che, nella pesca a mosca, una certa apertura mentale sia obbligatoria.

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di czech nymph, french nymph, polish nymph, long nymph, short nymph. Comincio a pensare che, nella maggior parte dei pescatori, tutti questi termini abbiano creato una certa confusione e invece di avvicinarsi alla pesca a ninfa ne hanno preso le distanze. Parlare quindi di una nuova tecnica sembrerebbe un controsenso, se non fosse perché le differenze che marcano la distanza tra la pesca classica e questa tecnica sono tanto radicali quanto intuitive: basti dire che manca la coda di topo.  Alcuni anni fa mi sono recato in pellegrinaggio da Jiri Klima, uno dei guru indiscussi della pesca a ninfa (vedi articolo su S&M n°38 ottobre 2007) e sono rimasto sorpreso dalla semplicità e dall’efficacia delle attrezzature che lui utilizzava. Ora, a distanza di anni e dopo aver conosciuto parecchi altri grandi pescatori a ninfa, penso di aver capito quali sono i motivi che hanno permesso ai pescatori dell’Est di diventare i migliori interpreti di questa tecnica, pur utilizzando attrezzature non certo sofisticate: pochi soldi e voglia di catturare più pesci possibili. Se analizziamo, infatti, le origini della cosiddetta pesca a ninfa moderna, troveremo personaggi come Milan Janus o Jiri Klima, che vincevano gare a tutto spiano utilizzando il monofilo al posto della coda, perché non si potevano permettere una buona coda. Facendo di necessità virtù, sono riusciti a tirar fuori il meglio dalle loro rudimentali attrezzature e per anni hanno dominato sui campi di gara in tutto il mondo, trovando come unico antagonista la squadra francese, che ha sviluppato l’omonima tecnica di pesca, caratterizzata, guarda caso, dall’utilizzo di finali molto, molto, lunghi. Le due tecniche sono diverse ma, in entrambe, la porzione di coda che esce dai passanti è minima o nulla. Immagino che, a questo punto, molti di voi si chiederanno quale sia la funzione della coda nella pesca a ninfa e, ancora, come mai il suo impiego sia acquisito e così diffuso. Domande in parte provocatorie ma che meritano una risposta.  

mauro mazzo; pesca a filo; ninfa col filo; pesca a mosca; flyfishing
La mano sinistra ci aiuta a mantenere sempre il contatto con gli artificiali

La pesca a mosca ai suoi albori utilizzava solo imitazioni non appesantite, simili alle attuali mosche secche e sommerse, pressoché impossibili da lanciare ad una certa distanza. Per superare l’inconveniente, l’ingegno di qualche mente brillante ha partorito le code di topo, che grazie al proprio peso permettono di raggiungere distanze considerevoli anche utilizzando mosche non piombate. Le code nascono in crine di cavallo intrecciato, evolvendo sino ad arrivare ai materiali sintetici attualmente utilizzati. Per evitare poi che il pesce potesse fiutare l’inganno, alla fine della coda venne collegato un finale, anch’esso prodotto prima in crine, poi in gut (budello di animale) ed infine in monofilo. I finali inizialmente erano piuttosto corti ma negli anni si cominciò ad allungarli, in modo da ottenere presentazioni più naturali e diminuire le possibilità di dragaggio. 

Nella pesca a mosca secca dai finali di 2 – 2,5 metri degli anni 60, siamo arrivati ai 5 – 6 metri di oggi e, generalmente, il pescatore in grado di utilizzare finali più lunghi viene considerato più bravo. Nella pesca a ninfa, grazie ai nostri colleghi dell’Europa dell’est, è successa la stessa cosa e si è giunti, in casi estremi, ad utilizzare il monofilo al posto della coda. Essendomi ormai rassegnato ad entrare nelle liste di proscrizione riservate agli  eretici, aggiungerò che non ci trovo niente di male, visto che nella pesca a ninfa l’uso di finali lunghi o del monofilo offre parecchi vantaggi. Entriamo insieme nel dettaglio tecnico per capire quali siano. La canna ideale è quella per coda #2 o #3, dai 9 ai 10 piedi di lunghezza (quest’ultima particolarmente apprezzata per la maggior leva offerta),con vettino molto sensibile. Per quanto riguarda il mulinello, l’utilizzo di un modello a bobina larga vi aiuterà a ridurre la possibilità di ritrovarvi con il vostro monofilo pieno di spire. Molto più diversificate sono le possibili alternative per la linea di lancio (il sostituto della coda, in pratica), la parte più critica di tutto il sistema. Esse variano in base alle preferenze personali e alla distanza di pesca. Vediamo quali sono le più utilizzate.

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Monofilo lineare: la sua caratteristica più importante è l’assenza di memoria. Per orientarvi nella scelta del diametro, che potrà variare dallo 0,25 allo 0,40, tenete presente che con i fili sottili sarà più facile lanciare a lunghe distanze ma aumenteranno di molto le possibilità di grovigli inestricabili; mentre, con quelli di diametro maggiore, guiderete meglio le mosche nella pesca a distanza ravvicinata, ma si accorcerà il raggio della vostra azione.

Finali conici: si trovano in commercio degli shock leader per la pesca a Surf-Casting con lunghezze variabili dai 12 ai 15 metri, con diametro minimo attorno allo 0,20,

e massimo dello 0,55 circa.

Vanno preferiti quelli con meno memoria, scegliendone il colore in funzione della situazione di pesca, neutro per pesci sospettosi e acque basse, fluo per acque velate o profonde. Andranno tagliati davanti o dietro a seconda delle preferenze personali, ed offrono, come vedrete più avanti, il vantaggio di poter pescare a distanza ravvicinata con il diametro più grosso e di utilizzare quello più sottile solo per lo shooting.

Finali Czech Nymph: sono simili a delle code di topo level, con asole preformate. Hanno pochissima memoria ma sono molto più pesanti di quelli in monofilo ed il diametro abbastanza grosso ne limita lo shooting.

Code ultraleggere fino alla 000: sono una valida alternativa, meno estrema. Molto più facili da utilizzare, offrono, a causa del diametro maggiore rispetto al monofilo, meno shooting alle lunghe distanze.

 Presa la vostra decisione sulla line, vi aspetta un’altra scelta, quella concernente l’indicatore di abboccata. Anche in questo caso, vi fornisco un breve elenco dei più diffusi.

Monofilo fluo: coestruso bicolore, oppure spezzoni di monofilo di diversi colori annodati assieme.

Monofilo Coral: dotato di palline in resina che ne aumentano il peso ed aiutano a vedere le abboccate con maggior facilità.p

Molloni bicolori: sia a spirale larga che a spirale stretta.

All’indicatore di abboccata annoderete il finale vero e proprio, che non dovrà avere caratteristiche particolari, tranne quella di essere il più sottile possibile, non tanto per il maggiore mimetismo, quanto per la velocità di affondamento. Questo significa poter utilizzare, a parità di corrente, imitazioni meno appesantite, che avranno una passata più naturale.

E veniamo adesso alla parte più interessante, l’azione di pesca.

Quando si pesca senza coda, il campo d’azione ideale parte dal sottovetta per estendersi fino ai 12-15 metri. Non è così immediato, però. Pescare, infatti, a distanze superiori ai 7-8 metri richiede molto allenamento e grande coordinazione dei movimenti.  

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Le code ultralight sono una valida alternativa al filo

Iniziamo quindi, come in un ipotetico apprendistato, dalle distanze ravvicinate, dove la tecnica regina è sicuramente la ninfa ceca, ideale per chi vuole imparare a pescare senza coda, visto che oltre al finale, avrete fuori dagli anelli al massimo un paio di metri di monofilo. In questa tecnica le ninfe lavorano quasi sotto il vettino, in modo da averne il massimo controllo ed essere in grado di esplorare con precisione chirurgica il tratto di fiume in cui si sta pescando. In pratica non si lancia, ci si limita a ribaltare la coda verso monte a 45 gradi. Utilizzando il monofilo, l’azione di pesca sarà pressoché identica a quella di chi usa la coda, con il vantaggio che il peso quasi nullo ed il diametro ridotto assicurano maggiore sensibilità verso le tocche del pesce, permettendovi così ferrate molto più pronte. Non sempre si può pescare a ninfa ceca e, spesso, vuoi a causa di difficoltà nel guado, vuoi per non spaventare i pesci, dovremo pescare a distanze medie o medio lunghe.

E qui i vantaggi derivanti dall’utilizzo del monofilo diventano veramente evidenti.

Avrete probabilmente notato che pescando a ninfa in modo tradizionale, più aumenta la distanza di pesca, più diventa difficile evitare che la coda venga trascinata dalla corrente, cosa che causa due problemi: dragaggio e perdita di contatto con le ninfe. Le code di topo, come tutti gli oggetti che ci circondano, sono soggette alla forza di gravità, quindi in base al loro peso, tenderanno a cadere verso il basso più o meno velocemente, fino a posarsi sulla superficie dell’acqua.

Noi possiamo cercare di contrastarne gli effetti in due modi.

Alzando il vettino per sollevare la coda, correndo il rischio di trascinare anche le ninfe facendole dragare; oppure eseguire dei mending che evitano il dragaggio, ma penalizzano la nostra sensibilità verso le abboccate. È evidente che la leggerezza del monofilo elude questi problemi, ma ogni medaglia ha il suo rovescio, quindi dovremo essere pronti ad affrontare qualche altra difficoltà. In primo luogo quelle insite nel lancio, in quanto non è facile lanciare a più di tre o quattro metri senza l’ausilio della coda, ma affidandosi al solo peso delle ninfe, con il veto assoluto di ricorrere a falsi lanci. Esistono due metodi con cui superare questo limite: lanciare, stendendo verso valle una lunghezza di monofilo pari alla distanza che si vuole raggiungere, per poi ribaltarla in avanti, sfruttando l’attrito del filo sull’acqua; oppure eseguire un normale lancio overhead, evitando però lo stop nel lancio all’indietro. Dovremo quindi tenere il filo in tensione costante durante tutto il lancio, e, come già raccomandato, evitare falsi lanci. Bisognerà inoltre cercare di indirizzare il lancio verso l’orizzonte, perché non raggiungeremo la distanza voluta grazie alla distensione della coda di topo, ma solo grazie al peso delle nostre imitazioni, che non essendo distribuito ma concentrato in un tratto molto breve, sarà molto difficile da tenere in aria.

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Comunque non spaventatevi. All’inizio vi sembrerà tutto molto strano, ma con un po’ di pratica vi abituerete. Un accorgimento che consiglio quando si utilizza lo shock leader da surf casting, è di fissarne la parte più sottile al backing e quella di diametro maggiore direttamente a strike indicator e finale. L’insieme sarà così molto più facile da gestire e, durante il lancio potrete sfruttare al meglio il maggior shooting del tratto con diametro inferiore. Va anche aggiunto che gli shock leader, vista la lunghezza di circa 15 metri, possono essere accorciati nella parte frontale, adeguandoli al tipo di pesca e allo stile di lancio, senza che ne risulti limitata l’azione di pesca. Una volta lanciate le ninfe, dovrete sollevare la canna in modo da avere meno filo possibile a contatto con l’acqua, per poi abbassarla e accompagnare l’affondamento. La leggerezza del monofilo vi permetterà di seguire il percorso delle vostre imitazioni, senza correre il rischio di trascinarle o di perderne il contatto. A questo punto tutto passa al manico, cioè all’abilità del pescatore di rimanere in contatto con le imitazioni e di reagire velocemente ad eventuali abboccate.

Ovviamente, più aumenterete la distanza di pesca, più i vantaggi diventeranno evidenti ed il ridotto diametro della vostra “coda” vi permetterà di affrontare situazioni particolari, come le giornate ventose, con molti meno problemi rispetto ai sistemi più ortodossi.

Per onestà devo riconoscere che la pesca a distanze elevate con questo sistema non è facilissima e ammetto che la gestione di diversi metri di monofilo mentre ci si prepara al lancio non è sicuramente semplice. Con il tempo vi abituerete a tenerlo in mano, disposto in spire ordinate.

Sicuramente l’approccio alla pesca a distanza sarà molto più facile utilizzando code ultraleggere o finali dal diametro abbastanza elevato, arrivando al monofilo solo dopo avere accumulato una certa esperienza. Altra ovvia conseguenza, che sin qui ho volutamente omesso, è l’equazione maggiore peso delle mosche = maggiore facilità di lancio. La mia distrazione deriva dalla convinzione che uno dei grandi vantaggi di questa tecnica sia di poter pescare con imitazioni poco appesantite. Anche se agli inizi troverete il lancio un po’ ostico, cercate sempre di utilizzare imitazioni più leggere possibili, che aumenteranno di molto le vostre occasioni di cattura.

Non so se sono riuscito a far breccia nell’ortodossia del Direttore, ma spero, almeno, di avervi invogliato a provare qualcosa di diverso, che oltretutto, qualità apprezzabile in questi giorni, non vi obbligherà a nessun sacrificio economico.


Questo articolo è stato pubblicato su Sedge & Mayfly con il titolo "Line in the hand"


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