la riscossa dei terrestrial

Testo e fotografie di Enrico Rossi      

 La Leptinotarsa decemlineata è un coleottero piuttosto diffuso nei pressi dei corsi d'acqua
La Leptinotarsa decemlineata è un coleottero piuttosto diffuso nei pressi dei corsi d'acqua

Nove volte su dieci, nel lessico della pesca a mosca, il termine “insetto” si coniuga con la triade formata da effimere, tricotteri e plecotteri. Fin dagli albori della nostra disciplina, queste creature alate hanno monopolizzato l’attenzione degli appassionati, declassando al rango di mere comparse tutte le altre forme di vita, sia acquatiche che terrestri, di cui trote e temoli quotidianamente si nutrono. Mayfly, sedge e stonefly sono state le protagoniste di trattati entomologici e manuali di costruzione, e non si contano i dressing ideati nel corso dei secoli per imitarle. Solo in tempi recenti, e non senza ragione, abbiamo assistito a un progressivo sdoganamento dei terrestrial, che scrollatisi di dosso i panni dei parenti poveri si sono ormai guadagnati un posto di tutto riguardo nel “salotto buono” del fly fishing. Credo che i motivi della loro riscossa vadano ricondotti a due fattori. Il primo è la progressiva rarefazione delle schiuse d’invertebrati bentonici, fenomeno che negli ultimi anni ha interessato i fiumi e i torrenti di mezza Europa, ivi compresi quelli dov’eravamo abituati ad assistere alle sciamature più intense. Il secondo è la diffusione dei materiali sintetici, che nel breve volgere di un decennio ha rivoluzionato le nostre abitudini in pesca e al morsetto. Alzi la mano chi non ha mai legato al finale una Madam X o una Chernobyl Ant, realizzando catture altrimenti impensabili con dressing d’impronta più tradizionale. 

In alcuni torrenti alpini le schiuse sono molto rare e le trote sopravvivono grazie ai terrestrial caduti dagli alberi
In alcuni torrenti alpini le schiuse sono molto rare e le trote sopravvivono grazie ai terrestrial caduti dagli alberi

Non nutro alcun pregiudizio nei confronti di queste autentiche armi letali, ben sapendo che a volte riescono a schiodare dal fondo anche le trote più sospettose e smaliziate. Il punto è che in molti casi non si tratta di vere e proprie imitazioni di terrestrial, ma di generici attractor il cui indubbio potere catturante fa leva sull’aggressività e sull’istinto predatorio dei pesci, più che sulla capacità di riprodurre le sembianze di uno specifico insetto. Orbene, in questo articolo vorrei affrontare l’argomento in un’ottica diversa, nell’auspicio di fornire qualche utile spunto ai lettori che, nelle lunghe serate invernali che ci separano dal giorno dell’apertura, vorranno cimentarsi nella costruzione di terrestrial dall’aspetto più imitativo.

Durante la stagione di pesca appena trascorsa ho dedicato molto tempo allo studio degli insetti che popolano le sponde dei corsi d’acqua alpini e appenninici. Ho scattato centinaia di fotografie, cercando di determinare la specie di ciascun esemplare e di farmi un’idea circa la sua diffusione nell’ecosistema di appartenenza. Le sorprese sono venute quando ho analizzato i risultati delle mie ricerche, riscontrando un netto squilibrio tra il micro-habitat perifluviale, dove a farla da padroni sono i terrestrial; e il “mondo virtuale” delle mie fly-box, dominato - neanche a dirlo - da mayfly, sedge e stonefly. Sappiamo tutti che lungo l’arco dell’anno i pesci si nutrono in prevalenza di ninfe e larve d’invertebrati bentonici, ma è pur vero che durante i mesi caldi, quelli in cui trote e temoli si dimostrano maggiormente attivi nei pressi della superficie, i terrestrial assumono un ruolo significativo (e talvolta persino preponderante) nel loro regime alimentare. Ignorare questa realtà equivale a sottrarre molte frecce al nostro arco, perché gli stessi pesci che si mostrano così guardinghi e selettivi durante le schiuse, possono esibirsi in fragorose bollate pur di ghermire un terrestrial accidentalmente caduto in acqua dal ramo di un albero. Resta da capire quali, tra le molte varietà d’insetti che brulicano sulle rive dei fiumi, siano le più suscettibili a entrare in contatto con l’elemento liquido, finendo in balia della corrente e alla mercé dei suoi voraci inquilini. 

 La sgargiante livrea scarlatta di una Pyrochroa coccinea
La sgargiante livrea scarlatta di una Pyrochroa coccinea

Tenete conto, comunque, che le indicazioni che mi accingo a fornirvi non rappresentano un’esaustiva panoramica delle specie che dimorano lungo i corsi d’acqua nostrani, ma solo un’antologia minima di quelle cui può valer la pena di dedicare un’imitazione ad hoc.

Provate, per un attimo, a mettervi nei panni di una trota. In un’unica bollata, una grossa cavalletta è in grado di garantirle un apporto proteico pari a quello di un’intera serata passata a rastrellare piccole emergenti di effimera dalla pellicola superficiale. In altre parole: il massimo risultato con il minimo sforzo. Per massa corporea e valore nutrizionale, solo le grandi ninfe di stonefly e le pupe di sedge di maggiori dimensioni possono reggere il confronto con questi sodi e polposi ortotteri; con la differenza che le prime sono abili e veloci nuotatrici, mentre le cavallette, una volta finite in acqua, derivano inermi verso valle in attesa che si compia il loro  destino. Tra le varietà maggiormente diffuse sui corsi d’acqua alpini e appenninici figurano le Tettigonidae e le Barbitistes, entrambe caratterizzate da una livrea dall’intenso colore verdastro e da un corpo di generose dimensioni, che per essere imitato a dovere richiede l’impiego di artificiali di misura compresa tra il #6 e il #12. 

La fitta vegetazione che avvolge le sponde delle risorgive garantisce un costante apporto di terrestrial
La fitta vegetazione che avvolge le sponde delle risorgive garantisce un costante apporto di terrestrial

Pur essendo dotati di ali, gli Orthoptera sono alquanto impacciati nel volo, e nel loro lento girovagare tra gli arbusti del sottoriva preferiscono muoversi a piedi, col rischio di essere scaraventati in alveo da un’improvvisa raffica di vento, o di scivolare in acqua nel corso di un violento acquazzone. Per non parlare, poi, di quando le cavallette vengono prese dal panico, e per sottrarsi a un potenziale pericolo spiccano un gran balzo in avanti, senza curarsi affatto di dove andranno a finire, mentre le trote lo sanno benissimo. Non a caso, sui torrenti e sui chalk-stream dove maggiore è la concentrazione di Orthoptera, da giugno a settembre le troveremo in agguato anche in pieno giorno nelle immediate vicinanze del sottoriva, pronte a ghermire in un sol boccone le incaute saltatrici. La tecnica migliore, quando si pesca con imitazioni di Tettigonidae e Barbitistes, consiste nel far viaggiare la mosca a un palmo dalla sponda, o meglio ancora nel farla prima posare sull’erba, per poi sospingerla in acqua con un breve richiamo del vettino, simulando in tal modo il naturale comportamento dell’insetto.

Un coleottero curculionide mette in mostra il suo inconfondibile becco a proboscide
Un coleottero curculionide mette in mostra il suo inconfondibile becco a proboscide

Con oltre quarantamila specie sinora censite dagli entomologi, i coleotteri curculionidi sono la famiglia più numerosa del mondo animale. Questi curiosi terrestrial dall’inconfondibile becco a proboscide vanno particolarmente ghiotti delle foglie e dei teneri germogli delle piante acquatiche, sulle cui fronde e radici semisommerse sono soliti trascorrere buona parte della loro breve esistenza. Grazie al mimetismo della loro livrea non è facile scorgerli a occhio nudo mentre si muovono lenti nel fitto della vegetazione, ma posso garantirvi che sono tra gli invertebrati più comuni sulle sponde dei fiumi e torrenti nostrani, e tra i più intensamente predati anche dai temoli grazie alla relativa morbidezza del loro corpo, che li rende ben più appetibili rispetto alle specie di coleotteri dotate di una corazza dura come il legno e ruvida come la carta vetrata. Le imitazioni di Curculionidae, di taglia compresa tra il # 12 e il # 16, vanno fatte sempre derivare in rigoroso dead-drift, ma non è necessario che siano dotate di particolari proprietà di galleggiamento, perché quando questi insetti finiscono in balia della corrente riescono a stento a muovere le zampe prima di venir sopraffatti dai flutti. Galleggiano inermi per pochi secondi, poi il loro corpo penetra nella pellicola superficiale e i pesci possono intercettarli anche negli strati intermedi della colonna d’acqua. In questi casi provate ad aggiungere un pallino di piombo al finale, e scoprirete una nuova dimensione della pesca con i terrestrial.

Il kamasutra dei Graphosoma italicum contempla posizioni davvero insolite
Il kamasutra dei Graphosoma italicum contempla posizioni davvero insolite

Le foreste di conifere sono l’habitat d’elezione dei coleotteri appartenenti alla famiglia delle Cerambycidae. Lo scorso anno, per dirne una, l’alta valle del Soča era letteralmente infestata da nugoli di Anastrangalia sanguinolenta e di Rutpela maculata, due delle specie più diffuse sull’intero arco alpino. Questi corposi e variopinti terrestrial fitofagi, comunemente noti tra i pescatori anglosassoni col soprannome di Longhorn Beetle, entrano a far parte in pianta stabile della dieta dei salmonidi da maggio a ottobre inoltrato. Il lungo addome che li contraddistingue sembra fatto apposta per essere imitato con una striscia di foam rosso, giallo, nero o marrone, legata su ami dal # 10 al # 14; mentre le zampe e le lunghe antenne dell’insetto possono essere facilmente riprodotte con dei semplici spezzoni di elastico, che vibrando nella corrente non tarderanno a stimolare la famelica reazione delle trote. Un’imitazione di Cerambycidae può essere la carta vincente per affrontare anche i corsi d’acqua meno produttivi sotto il profilo biologico, come quei piccoli ruscelli alpini dove le schiuse sono ridotte all’osso e le trote, per non restare a pancia vuota, sono costrette a nutrirsi quasi esclusivamente di terrestrial. Molto simili alle Cerambycidae sono le Pyrochroa coccinea, di cui ho avuto modo di riscontrare una massiccia presenza sui torrenti e sulle risorgive dell’Appennino centrale. A detta degli entomologi, questi coleotteri hanno sviluppato una livrea dalla sgargiante colorazione scarlatta per segnalare ai predatori alati la propria tossicità. E’ uno stratagemma che può forse funzionare con gli uccelli, ma non certo con i pesci, che invece sembrano particolarmente attratti dal rosso, il che rende le imitazioni di Pyrochroa coccinea ancor più irresistibili nei loro confronti. Le stesse considerazioni, sia sul piano cromatico che dell’efficacia in pesca, possono essere estese a una specie dell’ordine dei Rhynchota molto comune nelle vicinanze dei nostri fiumi e torrenti: il Graphosoma italicum, volgarmente noto come “cimice delle piante”, la cui corazza a strisce verticali rossonere sembra evocare la maglia di una nota squadra di calcio.

Primo piano di una cavalletta Barbitistes
Primo piano di una cavalletta Barbitistes

Nelle fly-box dei pescatori di tutto il mondo, e a maggior ragione in quelle degli amanti del temolo, l’ordine degli Hymenoptera è rappresentato dalle imitazioni di formiche, sulla cui arcinota validità non mi pare il caso di dilungarmi. In questa sede vorrei invece spendere qualche parola in più sugli altri membri di questa importante categoria d’insetti, e in particolare su api, vespe e bombi, tutte varietà che appartengono al sottordine degli Apocrita, di cui ben si conosce l’ampia diffusione negli habitat ripariali. Al di là delle differenze di taglia e d’aspetto che contraddistinguono le singole specie, questi imenotteri condividono due fondamentali peculiarità morfologiche, di cui v’invito a tener conto anche ai fini imitativi: la loro livrea è formata da bande alternate di colore nero e giallo; mentre il corpo presenta una netta separazione tra addome e torace, che sono collegati da un esile peduncolo detto peziolo. Osservata in controluce, abituale angolo di visuale dei pesci, la silhouette degli Apocrita è assolutamente inconfondibile, e ciò facilita il compito del costruttore. Una volta elaborato un modello di base che rispecchi le tonalità cromatiche e la bipartizione corporea dell’insetto, basta variare la taglia dell’amo per dotarsi di un assortimento di artificiali in grado di coprire l’intera gamma degli imenotteri aculeati più graditi ai pesci. Se vespe e bombi sono terrestrial di cui trote e temoli si cibano in modo sporadico, su alcuni fiumi le api rappresentano un piatto fisso della loro dieta quotidiana. In molte vallate, infatti, la produzione del miele è un’attività praticata su larga scala, e se si pensa che in ogni alveare vivono una regina, qualche centinaio di fuchi e alcune decine di migliaia di operaie, non è difficile farsi un’idea della straordinaria diffusione dell’Apis mellifera. Ogni mattina, interi sciami di queste laboriose creature si riversano sulle sponde dei torrenti per compiere la loro missione, che consiste nel succhiare il nettare e raccogliere il polline dei fiori, ma anche nel portare acqua all’alveare per dissetare la regina e le larve, il che le espone alla voracità di pesci. Al calar del sole, molte api operaie non fanno ritorno a casa: le più giovani e inesperte vengono uccise dai predatori; mentre le più anziane, sentendo avvicinarsi la fine, vanno a morire lontano dall’alveare per non infettarlo, e spesso cadono agonizzanti in acqua, dove le trote sono ben felici di porre termine alla loro sofferenza con una fulminea bollata. Le vespe, invece, frequentano i fiumi per motivi del tutto diversi. In primavera e in estate, quando si registrano le schiuse più massicce, le femmine di questi spietati imenotteri vanno a caccia di effimere, sedge e stonefly e le narcotizzano con le loro punture, per poi trasportare le prede nel nido e deporre le uova nei loro corpi, garantendo in tal modo una scorta di cibo alle giovani larve.

Prima di terminare l’articolo, consentitemi un’ultima annotazione sui Lepidoptera, l’ordine al quale appartengono farfalle e falene. Le forme alate di questi terrestrial non rivestono una grande importanza nel regime alimentare dei salmonidi, e del resto non capita spesso di vedere un pesce che salta fuori dall’acqua per acciuffare una farfalla allo stadio d’imago. Ben diverso è il trattamento che riservano ai bruchi, di cui le trote si nutrono con particolare ingordigia specie in primavera, quando gli alberi prospicienti l’alveo pullulano di grasse e carnose larve di lepidottero, che al primo stormir di fronde cadono in acqua per la gioia dei nostri amici pinnuti.


Estratto dell'articolo pubblicato sul n. 63 di S&M


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