Estratto dell' articolo  pubblicato sui numeri 58 e 59 di Sedge & Mayfly

le mosche di rené harrop

di Enrico Rossi - Fotografie di Bonnie Harrop


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Rene Harrop

Nella seconda parte della lunga intervista che ha concesso a “Sedge & Mayfly”, il “grande vecchio” dell’Henry’s Fork ci parla delle sue tecniche di costruzione e ci presenta una serie di dressing tanto semplici da realizzare, quanto efficaci in pesca. Protagonista assoluto del suo approccio al fly tying è il cul de canard, un materiale di cui tutti noi oggi facciamo largo uso, ma che pochi al mondo , soprattutto negli Stati Uniti, conoscono e padroneggiano come lui.

Renè, qual è il segreto dell’efficacia dei tuoi artificiali?

L’aspetto esteriore di una mosca, per quanto gradevole e ben realizzata, non ha nulla a che spartire con la sua efficacia in pesca, perché le uniche creature in grado di valutare la bontà di un artificiale sono le trote. Se c’è una cosa di cui posso andar fiero è che in oltre quarant’anni di professione non ho mai immesso in commercio un nuovo modello prima di averlo sottoposto al loro insindacabile giudizio. A mio avviso, infatti, per costruire delle buone mosche non basta essere abili al morsetto. Solo l’esperienza maturata sul fiume ci consente di affinare la capacità di riprodurre le sembianze del naturale imitato nel modo in cui risulta più gradito alle nostre prede. Al giorno d’oggi, invece, qui in America molte delle mosche vendute dai negozi vengono realizzate nei paesi in via di sviluppo, da gente che forse non ha mai preso in mano una canna da pesca, e che in vita sua non ha mai visto da vicino gli insetti che schiudono sui nostri fiumi da trote.

Sei stato tra i primi costruttori statunitensi a usare il cul de canard. Perché non mi racconti come l’hai scoperto?

Fu Dennis Black, l’allora titolare della “Umpqua Feather Merchants”, a farmelo conoscere verso la fine degli anni ’80. Rimase folgorato dalla sua efficacia in occasione di un viaggio di pesca in Nuova Zelanda, e al rientro mi fornì le prime bustine di CDC. Dalle mie parti nessuno sapeva come utilizzarlo, ma io non mi persi d’animo e cominciai subito a sperimentare. Ci volle tempo prima di scoprire che nel Vecchio Continente questo materiale veniva già impiegato con successo da alcuni decenni, e ancor oggi nutro grande rispetto e ammirazione per i pionieri europei del cul de canard.

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Quali sono, a tuo avviso, le sue migliori caratteristiche?

Sappiamo bene che grazie alle sue straordinarie doti d’idrorepellenza basta utilizzarne una quantità minima per far galleggiare la mosca, e ciò può fare la differenza specie in acque piatte e trasparenti, dov’è necessario impiegare artificiali dall’aspetto esile ed essenziale. Secondo me, tuttavia, la proprietà più preziosa del cul de canard è la morbidezza, che più di qualsiasi altro materiale lo rende idoneo a imitare la postura e il naturale movimento degli insetti sulla superficie dell’acqua. Vibrando in modo così spontaneo alle minime sollecitazioni della corrente, il CDC possiede una parvenza di vita che i pesci, a quanto pare, trovano davvero irresistibile 

Quale varietà di cul de canard consigli di acquistare?

Come ogni altro materiale di origine naturale, la qualità del CDC è estremamente variabile. Le piume prelevate dalle anatre selvatiche sono di gran lunga superiori a quelle provenienti da uccelli d’allevamento, ma non è sempre facile procurarsele. Per chi non disponesse di un amico cacciatore, il miglior cul de canard oggi reperibile in commercio è quello distribuito dai produttori europei.

In quali circostanze si dimostra superiore agli altri materiali?

Impiegando tecniche di costruzione piuttosto tradizionali, lo uso per realizzare le ali delle mosche secche, sia in versione standard che parachute. La mia variante della classica Adams ne è un perfetto esempio. Piuttosto che strappare le barbule dal calamo, come alcuni sono soliti fare, preferisco adoperare la punta di una piuma intera di CDC, e quando devo imitare le ali di un’effimera o di un tricottero di grandi dimensioni, ne uso due appaiate. Impiego invece le barbule prive di calamo per riprodurre le ali degli insetti di minuscole dimensioni, come i midge; ovvero per realizzare le zampe, le code e le antenne di ogni altro genere d’invertebrato acquatico o terrestre. A mio avviso, infatti, ci sono pochi insetti che non possano essere efficacemente imitati con il cul de canard. Oltre ad impiegarlo per costruire effimere, tricotteri, plecotteri e chironomi, ne faccio grande uso per modellare le parti anatomiche di alcuni dei terrestrial più diffusi nelle nostre acque, tra cui cavallette, coleotteri e formiche; e non ci penso due volte a utilizzarlo anche per gli artificiali sommersi, ivi incluse le ninfe e gli streamer.

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 E quali sono i suoi limiti?

Limiti veri e propri non ne ha, sempre a patto che venga adoperato nel modo giusto. Quando si costruisce una mosca in CDC, bisogna avere l’accortezza di applicarne solo la quantità necessaria a far fronte alle esigenze imitative e di galleggiamento. Nelle acque piatte e lente di un grande fiume del piano, ad esempio, ne servirà molto meno che in quelle veloci e turbolente di un torrente di montagna. Con la stessa parsimonia occorre calibrarne l’impiego anche negli artificiali sommersi, che a mio avviso possono acquisire un tocco in più di realismo e mobilità proprio con l’aggiunta, nei punti strategici, di una piccola dose di flessuose barbule di cul de canard.

A proposito, Renè, quali sono le tue preferenze in tema di ninfe e streamer?

I miei artificiali sommersi hanno un aspetto estremamente semplice e disadorno, e altrettanto semplici sono le tecniche che adotto per realizzarli. Preferisco evitare di incorporare nel dressing qualsiasi materiale superfluo, e soprattutto quelli troppo rigidi, che lungi dall’apportare migliorie sul piano imitativo finiscono per ridurre la mobilità in acqua dell’artificiale, che considero l’elemento decisivo ai fini della cattura. Ripongo invece grande fiducia nei materiali riflettenti, visto che anche le trote mostrano di gradirli, ma anche in questo caso cerco di non esagerare. Quando costruisco il corpo di una ninfa o uno streamer, mi limito a miscelare nel dubbing una piccola percentuale di Crystal Flash o di Flashabou.

Pensi che negli anni a venire l’evoluzione dei materiali sintetici ci porterà a preferirli a quelli naturali, o ritieni che il fascino della tradizione sia davvero intramontabile?

Oggi chiunque si sente libero di sviluppare nuove idee e tecniche, e i costruttori di tutto il mondo sono sempre meno influenzati dalle convenzioni che hanno a lungo condizionato il nostro ambiente. Alcuni sostengono che stiamo andando incontro a un completo stravolgimento dei principi e delle regole che hanno sin qui ispirato la creazione delle mosche artificiali, ma personalmente nutro grande rispetto e ammirazione per l’energia creativa e lo spirito d’innovazione messo in mostra da molti giovani fly tyers. Al contempo, reputo assurdo rinchiuderci nel guscio della tradizione ignorando gli indubbi vantaggi apportati dai moderni materiali sintetici, perché questi ultimi, integrandosi alla perfezione con quelli naturali, ci consentono di realizzare artificiali dotati di un elevatissimo potere catturante. Trovano valide applicazioni anche come sostituti dei materiali naturali di difficile reperimento, nonché di quelli provenienti da uccelli selvatici e altre specie rare o protette, ma sono convinto che non riusciranno mai a rimpiazzare del tutto i materiali naturali. Per quel che mi riguarda, pur tenendo un occhio aperto alle novità, continuerò anche in futuro a operare nel solco della tradizione di chi mi ha preceduto, e i materiali naturali saranno sempre il punto di partenza dei miei tentativi di imitare le forme di vita di cui si cibano le trote.

 

 

Le mosche di Rene Harrop


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