tingere le piume

Di Massimiliano Mattioli (*) vedi a fondo pagina

Perché tingere

La prima obiezione che viene in mente, quando si affronta l’argomento tintura, è che con tutti i materiali che ci sono in commercio, non ha più senso il fai-da-te. Tingere i propri materiali è una perdita di tempo, si sporca dappertutto ed è, a ben vedere, antieconomico. Devo riconoscere che è tutto vero, se solo penso ai colli di gallo che ho bollito e ai colori inutili che ho creato e che mai sfrutterò. A ben vedere, lo stesso processo costruttivo delle mosche artificiali è una perdita di tempo, è antieconomico e sporca dappertutto (magari non in modo indelebile come giocando con le tinture, ma sporca).  Ho molti amici che, per il numero di mosche che consumano in una stagione, risparmierebbero un bel po’ di soldi e di tempo se le comprassero. In fin dei conti, oggi in molti negozi si possono trovare mosche di qualità ad un prezzo tutto sommato onesto. Non è questo il punto, però. Costruiamo le nostre mosche per sperimentare, per dimostrare nuove teorie, per mettere alla prova le nostre capacità di pescatori. Ogni volta che rifacciamo una mosca con le code un po’ più lunghe, con le ali un po’ più corte oppure con un giro in meno di hackle, stiamo portando avanti una nostra idea: una teoria su cosa piace al pesce, cosa lo attira o lo fa fuggire. E questa è l’essenza stessa della pesca a mosca.

Attrezzatura  base per la tintura
Attrezzatura base per la tintura

Primi Esperimenti

La prima volta che ci provai fu nel 1993. Avevo appena finito di rileggere il libro di Raffaele De Rosa “Pescare con la mosca” (Editoriale Olimpia, 1987) ed ero eccitatissimo all’idea di provare il capok, questo straordinario materiale di cui l’autore tesseva le lodi. Detto, fatto, riuscii a procurarmi una modica quantità del prezioso materiale (sufficiente, più o meno, ad imbottire un paio di materassi) e poi saccheggiai tutti i negozi della città, comprando tutte le tinture per tessuti che trovai.

Poi, mi misi all’opera.

I risultati della mia “operazione capok” furono, nell’ordine:

1) Il piano di lavoro della cucina irrimediabilmente macchiato di giallo. Consiglio personalissimo: state alla larga dall’acido picrico, a meno che non viviate soli (e per soli intendo senza nemmeno un gatto per compagnia) in una capanna di tronchi al centro dell’Alaska.

2) Molte macchie di vari colori sulle pareti, un tempo bianche, della cucina.

3) Uno strano alone arcobaleno, impossibile da eliminare, sull’acciaio della base per i fornelli.

4) Una intera batteria di pentole da buttare

5) Un ultimatum della mia compagna dell’epoca. Una cosa del tipo: “Basta, o me o le tinture”.  Oggi farei la scelta giusta ma, all’epoca, ero giovane e stupido e misi via le pentole.

6) Una enorme quantità di capok tinto in almeno 28 differenti colori, fra cui otto sfumature di rosso indistinguibili l’una dall’altra, e una matassa, delle dimensioni di un pallone da basket, di dubbing verde smeraldo che non ho mai avuto il coraggio di provare.

Col tempo, comunque, ho imparato ad utilizzare colori e tinture senza fare troppi danni e oggi mi ritrovo sempre più spesso a cercare di inserire qualche sfumatura personale nelle mie mosche. Ho provato molte tinture, nel tempo, e alla fine ho fatto la mia scelta: tutti i materiali presenti nelle fotografie che illustrano l’articolo sono stati tinti con colori per tessuti della DEKA o con gli ottimi colori Veniard, purtroppo sempre più difficili da trovare.

 

Il procedimento

Praticamente tutti i materiali naturali si prestano ad essere tinti, più o meno facilmente, ma limiteremo la nostra analisi alle sole piume, per questa volta. Di seguito analizzeremo alcuni materiali fra i più interessanti e spiegheremo il processo di tintura che, con piccole ma significative differenze, è lo stesso per tutti.

La prima operazione da compiere consiste nello sgrassare il materiale che vogliamo tingere. Tutte le piume conservano una certa quantità di olio, che aiuta a mantenerle elastiche e morbide. Purtroppo, questo olio non è distribuito uniformemente sulla piuma e pregiudica il risultato della tintura.  Per ottenere una colorazione uniforme e stabile,  soprattutto nei colli di gallo e di gallina,  è necessario lasciare il materiale a bagno per qualche ora in una soluzione di acqua e sapone per i piatti. Poi, sciacquate abbondantemente con acqua tiepida e non asciugate. Preparate il bagno di tintura. In una pentola abbastanza grande da contenere il materiale che volete tingere (da qui in avanti, per comodità, assumeremo che si tratti di un collo di gallo, ma il procedimento è lo stesso per tutti) versate acqua, il contenuto di una busta di tintura e un bicchiere di aceto. Mettete la pentola su un fornello e portate ad ebollizione. Mescolate durante questa fase per sciogliere bene la tintura. Spegnete il fornello e lasciate che la soluzione cominci a raffreddarsi. Ogni materiale ha una soglia massima di temperatura a cui può essere immersa. Se l’acqua è troppo calda, rischiate di danneggiarlo. Se è troppo fredda, la tintura non agirà. La temperatura massima per tingere le piume è di 60 gradi. Raggiunta la temperatura di lavoro, immergete il materiale, ancora bagnato dopo il risciacquo. Lasciate a bagno nella tintura il tempo necessario a raggiungere la tonalità desiderata (attenzione: servono comunque diversi minuti perché la tintura prenda) muovendo continuamente il materiale e assicuarandovi che sia completamente immerso nella soluzione. Controllate la temperatura dell’acqua per assicurarvi che non si raffreddi troppo. Nel caso, tenete il fornello acceso al minimo per mantenere la temperatura costante. Una volta raggiunta la tonalità desiderata,  aggiungete ancora aceto, abbondante, per fissare meglio il colore. Poi, estraete e sciacquate con acqua corrente tiepida, abbondantemente, per togliere ogni residuo in eccesso di tintura. Tamponate con carta assorbente e lasciate asciugare. 

Colli di gallina tinti in vari colori
Colli di gallina tinti in vari colori

Colli di gallina

Sono fra i miei preferiti per ogni genere di tintura. Personalmente, uso moltissimo la gallina nei miei artificiali. L’alta qualità dei colli attuali, e il loro prezzo, me li fa preferire, spesso, ai colli di gallo per le hackle. Per quanto riguarda le ali, poi, sono insostituibili. Sfortunatamente,  in commercio si trovano quasi solo i colori principali (i più usati) e non c’è grande varietà fra cui scegliere. La buona notizia è che la gallina si tinge benissimo e, volendo, si trova sempre il modo di sfruttare ogni colore. Si possono tingere colli di gallina di ottima qualità investendo una cifra ragionevole. Scegliete colli bianchi o color panna, che garantiscono una resa più brillante, e lavorate di fantasia. Una delle mie tonalità preferite è il lilla, che uso sia per le ali delle secche da caccia, per la sua visibilità, che per le code e le hackle delle sommerse. Lavorando con attenzione, si può ottenere un color grigio-violaceo dalle sfumature metalliche che ricorda moltissimo le ali di alcune dun. Per farlo bisogna lavorare su un collo dun medio, molto lucido, e immergerlo con attenzione in un bagno lilla, controllandolo continuamente. Con le tinture della Veniard si ottengono dei bellissimi oliva (Fate attenzione: i colori Veniard sono concentrati e ne basta una quantità minima). Per le soft hackle, provate a tingere le selle di gallina. Normalmente, quando tingo un collo di gallina, aggiungo sempre anche due penne primarie di tacchino, per i biot. A volte, se il colore è particolarmente interessante, aggiungo anche un collo di gallo. Comunque, per la tintura standard di un collo di gallina, io uso il contenuto di una busta di tintura ( o due mezze buste di colore diverso, per certe sfumature) DEKA sciolta in due o tre litri d’acqua. La temperatura di lavoro è di 60 gradi. Il tempo minimo di immersione è di venti minuti, per permettere alla tintura di penetrare uniformemente. 

Due colli di gallo grizzly tinti in differenti tonalità
Due colli di gallo grizzly tinti in differenti tonalità

 

Colli di gallo 

Personalmente, trovo i colli di gallo di alta qualità poco adatti alla costruzione di mosche secche tradizionali. La selezione genetica, normalmente, lavora per produrre hackle molto fitte (troppo fitte, per il genere di mosche che interessa me) e rigide (di nuovo, troppo rigide per una mosca veramente ben equilibrata in pesca). Alcuni allevatori, non troppo all’avanguardia, offrono ancora colli di una qualità adatta ai montaggi tradizionali ma, di solito, solo in pochi colori naturali. Queste hackle, se riuscite a trovarle, sono ottime per essere tinte ed utilizzate per costruire mosche che abbiano un collarino non troppo folto e che si adagia morbidamente sull'acqua. Cosa non da poco, poi, creano un minor effetto elica, con conseguente attorcigliamento del finale, durante il lancio. Molto interessanti sono gli esperimenti che si possono fare con i colli grizzly, avendo cura di scegliere quelli con piume ben marcate. Per quanto riguarda la tintura, valgono le stesse regole indicate per i colli di gallina.

Tacchino selvatico
Tacchino selvatico

Biot                                                                                  

Naturalmente non potevano mancare. I biot bianchi, sia di oca che di tacchino, prendono il colore con facilità e il risultato è quasi sempre eccellente. I biot di oca sono un po' più fragili e delicati e la tintura deve essere fatta con più attenzione, soprattutto per quanto riguarda la temperatura del bagno e i continui rimaneggiamenti a cui sono sottoposti. I biot di tacchino selvatico, invece, sono un po' più ostici da trattare ma il risultato, in termini di imitatività, può essere straordinario. Durante il bagno, bisogna prestare attenzione ad allargare con le dita i biot, separandoli l'uno dall'altro per permettere alla soluzione di colore di distribuirsi uniformemente. La temperatura di lavoro non deve superare i 50 gradi. Per quanto riguarda la fase di sgrassaggio, con le primarie di tacchino potete usare sia detersivo per i piatti che uno sgrassatore da cucina e lasciarlo agire per 30/60 minuti. Per l'oca, meglio utilizzare il detersivo per i piatti e lasciarlo agire per un paio d'ore.

 

Piume sparse

Naturalmente si possono tingere tutte le piume provenienti dal corpo di un volatile, dai fianchi come dal petto. Non è un procedimento che io utilizzi molto spesso, a dire la verità, perchè il mio uso abituale di queste piume prevede i colori naturali. Mi capita di farlo principalmente con il mallard flank per costruire il dorso dello Zoo Cougar, uno dei miei streamer preferiti. Per sgrassarle è sufficiente, di solito, un bagno di mezz'ora in compagnia di un po' di detersivo (stiamo parlando di piccole piume singole. La maggior parte delle impurità si trovano attaccate alla pelle, che qui non è presente). Per la tintura, la temperatura consigliata è la stessa dei colli di gallo e di gallina, 60 gradi.

 

Pavone spelato

E' probabilmente il materiale più ostico in assoluto, per la sua estrema fragilità. La tecnica prevede una immersione nella candeggina dell'intera piuma. Muovendo delicatamente e continuamente la piuma, aspettiamo che tutta la peluria si sia staccata fino a lasciare i quill spelati. Immediatamente sciacquiamo con acqua fredda e a lungo per eliminare ogni traccia di candeggina. Al termine dell'operazione, ci dovremmo ritrovare con l'intera coda già spelata e, contemporaneamente , sbiancata, pronta per la tintura. Il problema è che la candeggina, oltre a rimuovere la peluria e a sbiancare, corrode anche il quill. Se aspettiamo troppo, avremo una intera coda di pavone troppo fragile per essere utilizzata. Se terminiamo troppo presto, non avremo ottenuto il risultato sperato. Per questa ragione, nonostante sia uno dei miei materiali preferiti per i corpi delle mosche, ho rinunciato da tempo all'idea di tingere le piume intere e continuo a spelare i miei quill uno alla volta, con la gomma da cancellare, per poi colorarli con pennarelli indelebili. Un pescatore inglese mi ha anche insegnato un metodo assolutamente naturale per schiarire i quill. Basta lasciare le piume intere all'aperto, al sole, per qualche mese. Non è certo un metodo rapido, ma funziona.


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(*) Nota sull’autore

Massimiliano Mattioli, classe 1964, di professione editore. E’ anche autore, traduttore e, con lo pseudonimo di Fortebraccio, fotografo. Pesca a mosca fin da bambino, in ossequio ad una tradizione familiare.  A partire dagli anni ’90 ha allargato il suo orizzonte editoriale per includere il flyfishing fra i suoi obiettivi professionali. Sue sono le traduzioni in italiano di:

Emegenti di Swisher e Richards (1996); Nuove tecniche di costruzione di O. Edwards (1998); La precisione nel lancio di J. Wulff (1999);

Nel 2000 ha fondato la rivista “Sedge & Mayfly – il piacere della pesca a mosca” della quale ha assunto la direzione editoriale, continuando sempre a curare personalmente la pubblicazione di libri dedicati alla pesca a mosca, come:

Pescare a ninfa di G. Re; Microchenille & C di M. borselli; Il Black Bass di P. Pacchiarini; Il luccio di P. Pacchiarini; Manuale del moderno costruttore di mosche artificiali di Federighi- Nocentini; La ninfa di S. Soldarini; Fly Tying – il grande libro del costruttore di mosche artificiali di A. Quazzo